Dott. Antonello Alessio
Ordine dei Tecnologi Alimentari di Calabria e Basilicata
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lunedì 14 febbraio 2011

Luigi Moio - L’aroma varietale del vino e l’influenza di variabili tecnologiche sulle caratteristche sensoriali dei bianchi campani

Relazione del Prof. Luigi Moio,Ordinario di Enologia alla Facoltà di Agraria a Portici, al convegno organizzato da Assoenologi ad Avellino inerente gli aspetti tecnico-specialistici per il miglioramento di vini Bianchi e Spumanti.



L’AROMA DEL VINO
L’insieme delle caratteristiche odorose e aromatiche del vino rappresenta senza dubbio l’aspetto sensoriale di maggiore rilevanza tra quelli riconducibili alla tipicità varietale di vini ottenuti da varietà di uva differenti.
I composti volatili responsabili delle caratteristiche aromatiche del vino sono numerosi e di diversa natura. Molti di essi, quelli quantitativamente più importanti, si originano nel corso della fermentazione alcolica e vengono pertanto generalmente definiti aromi di fermentazione. Tuttavia, le caratteristiche aromatiche dei vini e la loro specificità sensoriale sono spesso fortemente dipendenti da componenti volatili di altra origine, talvolta meno importanti da un punto di vista quantitativo ma, comunque, in grado di contribuire in maniera determinante all’aroma del prodotto finito (Etievant, 1991).
Molte di tali sostanze odorose derivano dall’uva e sono generalmente presenti nel vino in concentrazioni molto basse. Tuttavia, possono influenzarne in maniera considerevole le caratteristiche olfattive. Esse costituiscono la componente aromatica del vino che viene più direttamente influenzata dalla varietà di uva impiegata per la vinificazione e vengono quindi generalmente definite «varietali». Tra queste sono presenti alcuni composti di notevole interesse enologico, quali terpeni, norisoprenoidi, pirazine e composti solforati, notoriamente in grado di influenzare in maniera determinante le caratteristiche aromatiche del vino. Un’interessante caratteristica di alcuni composti volatili derivanti dall’uva, in particolare terpeni, norisoprenoidi e composti solforati, è che essi sono presenti in larga parte sotto forma di precursori non odorosi e vengono rilasciati nel corso della vinificazione e/o dell’invecchiamento del vino, con conseguente aumento della complessità aromatica (Williams, 1993).
Nel corso dell’invecchiamento, a causa del basso pH, gli esteri di fermentazione si degradano con notevole velocità, sicché il loro contributo sensoriale diventa per lo più trascurabile. Parallelamente, i composti varietali presenti sotto forma di precursori, in particolare terpeni e norisoprenoidi, vengono gradualmente rilasciati e possono quindi contribuire al profilo aromatico di insieme, determinando un aumento della complessità e della specificità aromatiche (Etievant, 1991).
Con il progredire dell’invecchiamento, quindi, il carattere aromatico del vino si modifica passando a un aroma di natura principalmente fermentativa a uno più complesso, fortemente influenzato da componenti aromatiche varietali tipiche dell’uva di origine.

Aromi dell’uva
In questa categoria ritroviamo composti quali aldeidi ed alcoli a sei atomi di carbonio (C6), terpeni, C13-norisoprenoidi e pirazine.
Nell’uva sono stati identificati diverse aldeidi e alcoli C6 (esanale, Z 3-esenale, E 2-esenale, 1-esanolo, Z e E 3-esen-1-olo, E 2-esenolo, 2,4-esadien-1-olo) dotati di bassa soglia olfattiva. In particolare il mosto fresco è ricco di aldeidi, responsabili di note odorose che ricordano l’erba sfalciata e la frutta acerba (Drawert, 1966; Hardy, 1970)
Questi odori diminuiscono con l’aumentare della maturazione dell’uva, tuttavia possono essere rilasciati nel mosto durante l’ammostatura a causa di un’azione meccanica violenta sul grappolo.
I terpeni sono i principali responsabili dell’aroma floreale del vino, essi sono particolarmente coinvolti nell’aroma dei vini Moscato, Malvasia e Gewurztraminer, del Tokay e dei vini Moscato invecchiati. I terpeni sono anche i principali responsabili del carattere floreale comune a molti vini bianchi giovani ottenuti da varietà neutre. Le molecole di natura terpenica sono presenti in quantità rilevanti anche in molti vini rossi tuttavia sembrano però svolgere un ruolo sensoriale meno significativo. All’interno di questa vasta classe di componenti volatili, gli alcoli monoterpenici sono quelli aventi il maggior impatto sensoriale. In particolare, linalolo e geraniolo sono caratterizzati da soglie di percezione notevolmente basse.
La loro concentrazione nel vino viene generalmente impiegata per caratterizzare le differenti varietà di uva. Circa il 50 % dei monoterpeni totali si ritrova nella buccia dell’uva (Park et al., 1991), tuttavia il geraniolo è associato principalmente alla buccia dell’acino d’uva mentre il linalolo è distribuito uniformemente anche nella polpa dell’acino (Wilson et al., 1986). Generalmente il contenuto in terpeni nell’uva aumenta nel corso della maturazione dell’acino fino al momento della completa maturazione per poi diminuire (Wilson et al., 1984; Gunata et al., 1985). Durante la surmaturazione dell’uva e durante l’invecchiamento del vino i terpeni subiscono diverse trasformazioni chimiche che determinano la loro diminuzione.
Per esempio la ciclizzazione del nerolo e del linalolo, l’ossidazione dovuta all’attacco dell’ossigeno singoletto e dall’attività ossidativa degli enzimi della Botrytis cinerea, determina un aumento dell’alfa-terpineolo e degli ossidi terpenici in forma furanica e piranica (Rapp e Marais, 1993).
I C13-norisoprenoidi sono dei componenti volatili raggruppabili in due categorie: strutture megastigmane e non megastigmane a 13 atomi di carbonio, prodotti dalla degradazione dei carotenoidi dell’uva come Beta-carotene, luteina, neoxantina e violaxantina. Essi presentano proprietà sensoriali di particolare interesse e sono caratterizzati da soglie di percezioni estremamente basse. I C13-norisoprenoidi svolgono un ruolo fondamentale nell’aroma varietale di alcuni vini bianchi quali Chardonnay e Riesling, e di vini rossi Merlot, Cabernet Sauvignon e Shiraz, oltre ad essere presenti in quantità sensorialmente influenti in vini di differenti varietà.
I principali composti appartenenti a questa classe chimica sono alfa e beta-ionone (soglia di percezione 2,6 e 0,09 ppb), beta-damascenone (soglia di percezione 0,05 ppb), vitispirane and 1,1,6-trimetil-1,2-diidronaftalene (TDN) (soglia di percezione 20 ppb) (Simpson 1978; Ferreira et al.).
Questi ultimi due composti, assenti nei vini giovani, si formano nel corso dell’invecchiamento per idrolisi acido-catalizzate, si ritrovano, pertanto, ad elevate concentrazioni nella frazione volatile di vini invecchiati (Rapp e Marais, 1993).
Il livello di TDN e vitispirano sembra non essere determinante per l’aroma dei vini non invecchiati (Marais et al., 1992). Il TDN ed il vitispirane, responsabili rispettivamente dell’odore di cherosene (Simpson, 1979) e canfora e/o eucaliptolo (Rapp e Mandery, 1986), sono presenti in vino ad una concentrazione compresa tra 1 e 390 ppb il primo e tra 20 e 320 ppb il secondo (Etievant, 1991). Essi sono tipici del vino Riesling invecchiato e dei vini bianchi ad invecchiamento ossidativo.
Tra i norisoprenoidi, il beta-damascenone ricopre un ruolo importante nella definizione dell’aroma del vino sia bianco che rosso. Esso presenta un odore complesso che ricorda fiori esotici (orchidea, bouganvillae, passiflora, ecc.), mele cotte e tè e benché sia spesso presente in concentrazione molto basse, può esercitare un ruolo importante nell’aroma di un vino, poiché è caratterizzato da una soglia di percezione estremamente bassa (0,05 ppb; Guth, 1997b). La sua concentrazione nel vino varia notevolmente, nel Merlot sono stati riscontrati livelli compresi tra 0,2 e 1,3 mg/L (Kotseridis et al., 1998a) mentre valori compresi tra 66 e 179 mg/L sono stati determinati nel vino Chardonnay (Simpson e Millar, 1984) e 980 mg/L nel vino Scheurebe (Guth, 1997b). La sua concentrazione è stata determinata anche in alcune varietà autoctone Italiane: nel Primitivo è presente a concentrazioni comprese tra 50 e 180 mgg/L, nell’Aglianico, Uva di Troia, Carigliano e Negroamaro tra 10 e 30 g/L, nel Fiano, Falanghina, Greco e Trebbiano tra 14 e 30 g/L (Moio et al., 2002a; Moio et al., 2004; Genovese et al., 2005; Moio et al., 2005).
Le pirazine, spesso presenti come metossi-pirazine, sono dei composti di natura aromatica la cui molecola è costituita da un nucleo di sei atomi contenenti due atomi di azoto (N) in posizione para e quattro di carbonio, uno dei quali è legato ad un gruppo metossilico ed un altro ad un radicale alchilico, la cui natura determina in gran parte le percezioni olfattive di questi composti.
La 2-metossi-3-isobutilpirazina è stata identificata per la prima volta in uno studio sui componenti volatili del peperone (Buttery et al., 1968) e successivamente insieme alla 2-metossi-3-isopropilpirazina nell’olio di resina e nei baccelli verdi (Bramwell et al., 1969; Murray et al., 1970). Le pirazine sono state identificate per la prima volta nell’uva da Bayonove et al. (1975) in uno studio sulla frazione volatile delle uve Cabernet Sauvignon, sinora sono riportate in diverse altre varietà a frutto bianco e colorato, tra cui Cabernet Franc, Merlot, Pinot Noir, Sauvignon Blanc, Chardonnay, Riesling. Nel vino questi composti costituiscono un ristretto gruppo di odoranti estremamente potenti in quanto sono dotati di una soglia di percezione estremamente bassa (10 ng/L in vino, Kotseridis et al., 1998b). La isobutilpirazina è responsabile dell’odore di peperone verde mentre la 2-metossi-3-isopropilpirazina di un odore gradevole e alcolico.
La concentrazione in metossipirazine risulta essere elevata nell’uva immatura mentre si riduce durante la maturazione (Lacey et al., 1991; Katumi e Samuta, 1999).
Infine nell’uva sono presenti differenti composti chimici che, sebbene non volatili ed inattivi sensorialmente, possono liberare durante l’invecchiamento del vino diversi componenti odorosi che vanno ad amplificare la complessità aromatica del vino (Williams et al., 1982 e 1983; Gunata et al., 1985). Queste molecole non volatili, potenzialmente odorose costituiscono quindi, dei veri e propri “serbatoi di aroma”. Generalmente possiamo distinguere precursori d’aroma di natura glicosidica e non glicosidica. I precursori glicosidici sono costituiti da una molecola volatile potenzialmente odorosa (aglicone) legata ad uno zucchero (principalmente glucosio) attraverso un legame glicosidico, che a sua volta si può legare ad una molecola di un altro zucchero aposio, arabinosio o ramnosio (Gunata et al., 1985; Voirin et al., 1990) (Figura 5).
Tutti i composti volatili varietali appartenenti alla classe dei terpeni e dei norisoprenoidi finora identificati nel vino sono presenti in forma glicosidica nell’uva di origine.
Altri componenti volatili come gli alcoli alifatici (1-esanolo, E 2-esenolo, cis 3-esenolo, 3-metil-1-butanolo), alcoli ciclici (alcol benzilico, 2-feniletanolo), fenoli volatili (vinilfenoli, vanillina, acetovanillone, benzaldeide) ed acido benzoico sono stati identificati in forma di precursori glicosidici (Williams et al., 1982; Gunata et al., 1985; Winterhalter et al., 1990; Sefton et al., 1993; 1994; Sefton, 1998). Tuttavia il contributo della componente glicosilata di tali composti volatili nel vino è minima in quanto alcuni di essi vengono sintetizzati in elevata quantità dai lieviti nel corso della fermentazione alcolica, è il caso del 2-feniletanolo, degli alcoli a sei atomi di carbonio e del vinifenolo; oppure rilasciati dal legno durante l’affinamento del vino in botte, è il caso della vanillina e acetovanillone.
Gli acidi ferulici e p-cumarico sono, invece, due precursori d’aroma di natura non glicosidica. Da essi, durante la fermentazione alcolica, nonché a seguito dell’attacco di microrganismi appartenenti alla specie Brettanoyices, possono formarsi composti volatili ad elevata attività odorosa appartenenti alla classe chimica dei fenoli (Chatonnet et al., 1992).

Aromi di fermentazione

Durante la fermentazione alcolica, i lieviti non solo sono responsabili della trasformazione degli zuccheri in etanolo ed anidride carbonica, ma producono numerosi componenti volatili minori, ma importanti dal punto di vista sensoriale, che incidono fortemente sulle proprietà organolettiche del vino. Allo stesso modo, durante la fermentazione malolattica, i batteri non provvedono soltanto alla disacidificazione del vino, quando è richiesta, ma contribuiscono ad aumentare la complessità
In questa categoria ritroviamo composti quali alcoli superiori, acidi volatili, esteri, composti carbonilici, fenoli volatili e composti solforati
Gli alcoli superiori sono classificati in alifatici ed aromatici. Gli alcoli alifatici comprendono 1-propanolo, 2-metil-1-propanolo (isobutanolo), 2 e 3-metil-1-butanolo (alcoli isoamilici). Gli alcoli aromatici consistono nel 2-feniletanolo e tirosolo. Generalmente il livello di alcoli superiori è correlato negativamente alla qualità del vino, vari autori riportano che livelli di concentrazione superiori ai 300-400 ppm nel vino ne potrebbero diminuire drasticamente la qualità (Amerine e Roessler, 1976; Ribéreau-Gayon, 1978; Bidan, 1975) apportando un odore ed un gusto pungente e/o vinoso, tuttavia livelli di concentrazione <300 ppm possono contribuire anche in maniera positiva all’aroma del vino con note fruttate (Nykanen et al., 1977; Lambrechts e Pretorius 2000; Swiegers e Pretorius 2005).
L’isobutanolo, gli alcoli isoamilici, il tirosolo ed il 2-fenietanolo si originano, nella cellula del lievito mediante la via di Ehrlich, attraverso una deaminazione seguita da una decarbossilazione e successiva riduzione degli aminoacidi valina, leucina, isoleucina, tirosina e fenilalanina.
In presenza di sostanze azotate facilmente assimilabili (sali d’ammonio, acido aspartico, acido glutammico) o di un giusto equilibrio tra aminoacidi, la produzione di alcoli superiori non è favorita, tuttavia, in particolari condizioni, quali elevata torbidità del mosto, elevata temperatura del mosto, aerazione del mosto e come principale sorgente di azoto una fonte amminoacidica, è favorita la formazione di alcoli superiori (Flanzy, 1998).
Dal punto di vista sensoriale gli alcoli isoamilici ed il 2-metil-1-propanolo hanno un odore sgradevole definito alcolico e/o cimice schiacciata e/o formaggio, viceversa il 2-feniletanolo è caratterizzato da un gradevole odore di rosa è può, quindi, contribuire positivamente all’aroma del vino (Moio et al., 2002; Ferriera et al., 2002).
I lieviti possono formare acidi grassi a media catena mediante due diverse vie: i) ossidazione delle aldeidi; ii) idrolisi dell’Acil-S-CoA, proveniente dal metabolismo dei lipidi, con formazione di acido butanoico, esanoico, ottanoico ecc.
La presenza degli acidi grassi, anche se apportano note sgradevoli descritte come formaggio e/o rancido (Ferreira et al., 2002a), sono correlati positivamente alla qualità dei vini (Marais e Pool, 1980; Bertuccioli et al., 1983) in quanto vengono prodotti in quantità maggiori in vini di qualità simultaneamente agli esteri etili di cui è ben dimostrato che sono correlati agli acidi stessi. Infatti, per esterificazione tra alcool etilico e gli acidi carbossilici presenti sotto forma di Acil-S-CoA, si formano i principali esteri del vino (butanoato, esanoato, ottanoato, decanoato di etile) caratterizzati da un aroma genericamente definito come fruttato (Etievant, 1991).
Dall’esterificazione tra alcoli isoamilici (2+3-metil-1-butanolo) e l’acetil-CoA ha, invece, origine l’acetato di isoamile (2-3-metilbutil acetato) responsabile dell’odore di banana mentre tra l’etanolo e l’acetil-CoA ha origine l’acetato di etile.
La presenza nel vino di tali composti è auspicabile, in quanto conferiscono al vino odori di frutta fresca e di frutta esotica, ad eccezione dell’acetato di etile che quando supera la concentrazione di 100 mg/L in vino risulta avere un odore sgradevole (Ribéreau-Gayon, 1978).
Il livello di questi componenti odorosi nel vino è influenzato dalle modalità di conduzione della fermentazione alcolica. Il ceppo di lievito, la mancanza di amminoacidi, l’elevato livello di ioni ammonio o asparagina, le basse temperature di fermentazione, le strette condizioni di anaerobiosi durante la fermentazione ed il basso pH del mosto sono alcuni dei principali fattori che conducono ad una minore o maggiore produzione dei prodotti di fermentazione nel vino.
I fenoli volatili ed i derivati fenolici quali etilfenoli, vinilfenoli, eugenolo, isoeugenolo, metossieugenolo, guaiacolo, siringolo, cresolo, benzaldeide e vanillina sono altri componenti volatili che incidono sull’aroma del vino. Non tutti hanno influenza positiva sull’aroma del vino, in particolare il 4-etilfenolo ed il 4-etilguaiacolo nei vini rossi sono stati ritenuti responsabili degli “off-flavours” tipicamente descritti come fenolico ed animale (Dubois, 1983). Generalmente nei vini rossi la concentrazione degli etilfenoli è più elevata rispetto a quella dei vinilfenoli (4-vinilfenolo, 4-vinilguaiacolo) mentre questi ultimi sono presenti in concentrazioni più elevata nei vini bianchi a cui conferiscono note speziate.
Il 4-vinilguaiacolo e 4-vinilfenolo, presenti nel mosto in tracce, vengono prodotti principalmente dai lieviti durante la fermentazione (Baumes et al., 1988), attraverso una decarbossilazione rispettivamente degli acidi trans p-cumarico e trans ferulico (Dubois, 1983). In particolar modo i lieviti Brettanomyces sono noti per la loro abilità a formare i vinilfenoli nel vino (Chatonnet et al., 1995). In un secondo momento i vinilfenoli possono essere convertiti per riduzione in etilfenoli (Chatonnet et al., 1992). Oltre all’attività metabolica dei lieviti altri fattori come l’affinamento in legno del vino possono determinare un incremento dei fenoli volatili in particolare ciò è stato riscontrato per il 4-etilguaiacolo ed il 4-etilfenolo (Pollnitz et al., 2000b).
Generalmente i composti solforati, presenti nel vino a bassissime concentrazioni, sono responsabili di odori sgradevoli e sono dotati di soglie di percezione estremamente basse. In base alla loro struttura chimica è possibile distinguerli in cinque categorie: sulfidi, polisulfidi, composti eterociclici, tioesteri e tioli. Uno studio condotto sull’aroma varietale del vino Sauvignon Blanc e successivamente in altri vini ha permesso di identificare molti composti solforati appartenenti alla famiglia dei mercaptani (tioli e tioesteri): 4-mercapto-4-metilpentan-2-one, 3-mercaptoesanolo, 3-mercaptoesilacetato, 3-mercapto-3-metilbutanolo, 4-mercapto-4-metilpentanolo, 2-mercaptoetilacetato, 3-mercaptopropilacetato (Darriet et al., 1995; Tominaga et al., 1998a; Lopez et al., 2003) (Figura 8). Genericamente i composti solforati vengono associati a seri difetti di odore, questo non è il caso dei mercaptani che al contrario apportano note positive all’aroma de vino.
L’aroma del 4-mercapto-4-metilpentanolo e del 3-mercaptoesanolo ricordano la nota di limone, pompelmo e frutto della passione; mentre l’odore del 3-mercapto-3-metilbutanolo è simile a quello del porro cotto. Il 3-mercaptoesilacetato ricorda l’aroma del frutto della passione, del bosso e della ginestra. Il 2-mercaptoetilacetato e 3-mercaptopropilacetato possono, invece, partecipare alla formazione dell’aroma tostato e grigliato spesso percepibile nel vino (Mestres et al., 2000). La percezione sensoriale del 4-mercapto-4-metilpentan-2-one è correlata alla sua concentrazione, infatti, può variare da quella di ribes nero, a basse concentrazioni, a quella di pipì di gatto, ad alte concentrazioni (Pearce et al., 1967; Darriet et al., 1995; Guth, 1997a).
Altri studi di carattere sensoriale hanno consentito, invece, di evidenziare il loro fortissimo impatto sull’aroma del vino, segnalando soglie di percezione fino a 0,8 ng/L per il 4-mercapto-4-metilpentan-2-one (Bouchilloux et al.,1996). Il 4-mercapto-4-metilpentan-2-one è stato identificato nei vini Scheurebe, Sauvignon Blanc, Gewurztraminer, Riesling, Colombard, Petit Manseng, Semillon, Cabernet Sauvignon e Merlot (Aznar et al., 2001; Guth, 1997a; Tominaga et al., 1998a; Tominaga et al., 1998c; 2000a; Murat et al., 2001a) e la concentrazione riscontrata è compresa tra 0 e 30 ng/L (Darriet et al., 1995; Tominaga et al., 2000a; Mestres et al., 2000).
Anche se importanti nella definizione del carattere varietale di alcuni vini, questi composti solforati non sono mai stati ritrovati in mosto d’uva. Infatti il 4-mercapto-4-metilpentan-2-one è presente nell’uva in forma legata ad un precursore non volatile: 4-(4-metilpentan-2-one)-L-cisteina (Tominaga et al., 1995) per poi essere liberato nel corso della fermentazione alcolica mediante l’attività enzimatica di alcuni lieviti (Tominaga et al., 1998b; Murat et al., 2001b; Howell et al., 2004).
Il dimetil sulfide contribuisce, se a basse concentrazioni, all’aroma dei vini invecchiati con note odore di asparagi. Probabilmente la sua formazione avviene durante la maturazione del vino ad opera dei lieviti mediante la degradazione della S-metil-L-metionina ad omocisteina e dimetil sulfide. In generale tale formazione è comunque legata al metabolismo della cisteina e cistina o glutadione nei lieviti (Rauhut, 1993). Un altro meccanismo di formazione dei polisulfidi (dimetil sulfide, dimetil trisulfide e trimetil tetrasulfide) è l’ossidazione dei mercaptani, infatti dall’ossidazione del metil mercaptano ha origine per esempio il dimetil sulfide. I lieviti, invece, sono in grado di ridurre i sulfidi in mercaptani. La concentrazione dei polisulfidi che generalmente viene riscontrata in vino varia da 0,09 a 53 g/L (Ferreira et al., 2002a).
Anche l’etandiolo contribuisce all’aroma dei vini. Esso deriva dalla reazione che avviene tra l’idrogeno solforato e l’etanolo o l’acetaldeide (Rauhut, 1993).
Il furfuriltiolo è stato identificato nei vini rossi di Bordeaux, i bianchi Petite Manseng ed anche nel legno tostato (Tominaga et al., 2000b). Esso è dotato di una soglia di percezione bassissima di 0,4 ng/L (Tominaga et al., 2000b) e di un odore tostato che ricorda il caffè (Blanchard et al., 2001). La sua origine in vino è dovuta ad opera dei lieviti alla trasformazione del furfurale durante la fermentazione in botti di legno (Blanchard et al., 2001). Gli stessi autori evidenziarono anche che la produzione del furfuriltiolo è bloccata quando vi è aggiunta di azoto, come asparagina, in quanto la sua produzione è legata agli anioni HS- che non vengono prodotti quando si aggiunge solfato di ammonio durante la fermentazione.
Dal metabolismo della metionina (via di Ehrlich) ha origine il 3-metiltio-1-propanolo responsabile dell’odore di cavolfiore (Mestres et al., 2000), il quale a sua volta può originare, mediante esterificazione, il 3-metiltiopropil acetato dotato di un odore che ricorda i funghi o l’aglio. Dalla omocisteina e dala cisteina possono essere sintetizzati dai lieviti il 4-metiltio-1-butanolo e 2-mercaptoetanolo responsabili rispettivamente degli odori di aglio e pollame (Mestres et al., 2000).
Il 2,3-butandione (diacetile) è uno dei principali componenti aromatici dei prodotti lattiero caseari. Il diacetile contribuisce all’aroma del vino con un odore di burro se è presente in concentrazione non superiore ai 5-7 mg/L diversamente risulta essere indesiderato (Davis et al., 1985). I lieviti ed i batteri malolattici contribuiscono entrambi alla produzione del diacetile nel vino, tuttavia la concentrazione del diacetile prodotta dai lieviti durante la fermentazione alcolica è normalmente inferiore alla soglia di percezione (Martineau e Henick-Kling, 1995). Al contrario, i batteri malolattici producono grandi concentrazioni di diacetile durante la fermentazione malolattica, risultando uno dei principali componenti volatili prodotti da Oenococcus oeni. La formazione e la degradazione del diacetile è direttamente legata al metabolismo degli zuccheri, acido malico ed acido citrico dei batteri. Esso è prodotto come metabolita intermedio nella reazione di riduzione dell’acido piruvico a 2,3-butandiolo (Ramos e Santos, 1996).

Aromi derivanti dall’affinamento in legno
In questa categoria è possibile inserire gli aromi dovuti a l’impiego di particolari tecnologie. Per esempio, l’utilizzo di botti di rovere determina una aromatizzazione del vino con conseguente aumento della complessità aromatica. Le caratteristiche organolettiche del vino elaborato in barriques sono comunque influenzate da diversi fattori come la composizione del vino stesso, dall’origine botanica e geografica del legno di rovere impiegato per la fabbricazione delle barriques e dal tipo di stagionatura e tostatura alla quale il legno viene sottoposto prima della fabbricazione di questi contenitori.
Il ruolo aromatizzante delle barriques è stato particolarmente studiato per i vini provenienti dalle uve Cabernet-Sauvignon, Pinot noir e Aglianico (Dubois et al., 1971; Dubois, 1989; Chatonnet et al., 1990; Moio et al., 1999; Pérez Prieto et al., 2002). I componenti odorosi con elevata importanza olfattiva identificati nei vini affinati in legno di rovere sono la vanillina, dal tipico odore di vaniglia e cioccolato; il guaiacolo che ricorda note di affumicato; il 4-metil guaiacolo, il 4-vinil guaiacolo, l’eugenolo dal caratteristico odore di chiodi di garofano, gli isomeri cis e trans della 3-metil-gamma-lattone dall’odore di noce di cocco e il furfurale dall’odore di mandorla. I whisky lattoni (cis e trans della 3-metil-gamma-lattone) sono presenti naturalmente nel legno e la loro concentrazione aumenta per effetto della stagionatura e tostatura del legno (Sefton et al., 1993a). I fenoli volatili e le aldeidi fenoliche derivano, invece, dalla degradazione della lignina mentre il furfurale dalla termolisi della cellulosa ed emicellulosa insieme alla reazione di Maillard durante la fabbricazione delle barriques (Sefton et al., 1990; Hale et al., 1999).
In ogni modo, i vini invecchiati in barriques risultano essere meno dotati in note floreali e fruttate dei vini non invecchiati in legno, ciò è dovuto alla diminuzione dei componenti volatili di origine fermentativa durante il processo di invecchiamento in legno (Moio et al., 1995; Escalona et al., 2002).



TECNOLOGIA DI VINIFICAZIONE E QUALITÀ AROMATICA DEI VINI AUTOCTONI

L’ottenimento di vini con elevate caratteristiche di tipicità e complessità aromatiche è legato all’impiego di tecniche di vinificazione attraverso le quali sia possibile ottimizzare il contributo delle componenti aromatiche di fermentazione e varietale in funzione della tipologia di prodotto che si desidera ottenere.
In tal senso, tuttavia, l’avanzamento delle conoscenze scientifiche sui vitigni Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot nero, Grenache, Syrah, Chardonnay, Sauvignon, Semillon, oramai ampiamente diffusi in tutte le aree viticole del mondo, ha fortemente condizionato l’evoluzione della tecnologia enologica, per cui molti processi ottimizzati per tali varietà sono stati erroneamente ritenuti universalmente validi e spesso trasferiti integralmente ad altre varietà di uva, senza tener conto che la chimica dei componenti volatili, delle frazioni polifenolica, proteica e pectica, dei costituenti di natura glucidica e acidica, risultano per queste varietà «minori» del tutto sconosciute.
Tale processo di omologazione delle tecnologie di vinificazione, peraltro ormai ampiamente diffuso, risulta particolarmente penalizzante per Paesi come l’Italia, caratterizzati da un vastissimo patrimonio di cultivar autoctone le cui potenzialità enologiche vengono spesso sottovalutate a causa della carenza di conoscenze specifiche relative alle caratteristiche peculiari di ciascuna uva e di conseguenza al tipo di vinificazione che maggiormente si adatta all’espressione di tali potenzialità.
Nel corso degli ultimi anni sono state da noi condotte prove sperimentali di vinificazione volte all’individuazione di pratiche enologiche in grado di migliorare l’espressione delle caratteristiche aromatiche varietali e il potenziale di invecchiamento di vini bianchi e rossi ottenuti da cultivar autoctone dell’Italia meridionale (William, 1993).

Falanghina
Influenza del trattamento di chiarifica prefermentativa sulla frazione aromatica varietale del vino Falanghina (Moio et al., 2002b e 2004b).
 I trattamenti di enzimaggio e chiarifica (EC) e di enzimaggio, chiarifica e filtrazione (ECF) sono stati realizzati impiegando una miscela di chiarificanti (bentonite, caseina, gelatina, gel di silice). Le analisi condotte sui campioni di mosto hanno evidenziato una forte influenza del tipo di trattamento sul contenuto di precursori d’aroma, in particolare per i mosti ottenuti mediante l’impiego di chiarificanti.
Al termine della fermentazione alcolica i vini ottenuti mediante i trattamenti EC ed ECF sono risultati caratterizzati dalla minor concentrazione di terpeni presenti in forma odorosamente attiva. L’impiego di trattamenti spinti di chiarifica del mosto determina, dunque, una riduzione della concentrazione di importanti composti volatili varietali del vino, con una conseguente riduzione della complessità e della tipicità aromatiche. Allo stesso modo, la concentrazione di precursori d’aroma glicosidici dei vini è correlata negativamente all’intensità del trattamento di chiarifica e dunque trattamenti più spinti determinano una diminuzione del potenziale di invecchiamento del vino Falanghina.
Per la vinificazione ad «elevata protezione antiossidante» HAMP (Hight autioxidant must protection) è stata realizzata una protezione antiossidante del mosto, data dall’impiego di elevate dosi di SO2 e acido ascorbico. Inoltre, le fasi di diraspapigiatura e chiarifica sono state condotte in atmosfera di azoto.
L’impiego di un’elevata protezione antiossidante del mosto ha determinato un significativo aumento della concentrazione di esteri prodotti dai lieviti durante la fermentazione alcolica. Tali componenti sono direttamente correlati al carattere fruttato dei vini giovani, ed è dunque probabile che un loro incremento determini una maggiore intensità aromatica del vino.
Dopo 14 mesi, i vini ottenuti con tecnologia a «bassa protezione antiossidante» LAMP (Bow antioxidant must protection) hanno mostrato un contenuto di esteri pari a quello presente nei vini AMP all’inizio dell’invecchiamento. Inoltre, la tecnologia HAMP ha consentito di preservare con maggiore efficacia importanti composti varietali come il linalolo, rallentando la trasformazione di questo in α-terpineolo, dotato di un minor impatto sensoriale. La protezione antiossidante del mosto rappresenta, quindi, un’interessante opzione per l’incremento del contributo della componente aromatica di fermentazione al profilo aromatico di insieme del vino, nonché per un migliore controllo dell’evoluzione della componente aromatica varietale nel corso dell’invecchiamento.
Fiano
Effetto di una avanzata maturazione dell’uva sull’aroma del vino bianco (Genovese et al., 2006).
Il vino Fiano ottenuto da uva surmatura risulta dominato da note odorose di agrumi, albicocca secca, fichi secchi, prugna, floreale, miele e noce di cocco. Questo quadro aromatico risulta molto simile a quello di vini ottenuti con la stessa tecnologia ma con uve differenti. Questo risultato indica che con la degradazione della buccia, che si verifica durante l’appassimento dell’uva, nel caso delle uve non ricche in terpeni, indipendentemente dalla cultivar si possono produrre le stesse molecole odorose.
I risultati delle analisi strumentali hanno indicato che le principali molecole appartengono alle classi chimiche dei terpeni, C-13 norisoprenoidi, lattoni ed aldeidi. Questi componenti volatili, dunque, sono correlati positivamente al grado di maturazione delle uve fornendo un contributo determinante all’aumento della complessità aromatica del vino.

Oenococcus Oeni
Idrolisi di precursori d’aroma glicosilati nel corso della fermentazione malolattica (Ugliano et al., 2003; Ugliano e Moio, 2003). Il contributo della fermentazione malolattica (FML) all’espressione delle caratteristiche aromatiche varietali del vino è stato studiato in un sistema modello messo a punto in laboratorio, al fine di simulare in condizioni controllate il processo di FML. La capacità di quattro preparati commerciali di batteri lattici Oenococcus oeni (EQ 54, Lalvin O.S.U., Uvaferm Alpha e Lalvin 31) di idrolizzare precursori d’aroma glicosilati del vino è stata valutata in un sistema modello contenente precursori estratti da vino Moscato.
A pH 3,4 è stata osservata, per tutte le colture, una diminuzione della concentrazione di precursori, accompagnata da un proporzionale aumento dei relativi composti volatili.
Quando la fermentazione malolattica è stata condotta a pH 3,2, è stata osser vata una di-minuzione della capacità idrolitica per i preparati Uvaferm Alpha e Lalvin 31.
Le concentrazioni di composti volatili rilevate nei vini sintetici al termine della fermentazione malo-lattica suggeriscono che O. oeni è in grado di modificare le caratteristiche sensoriali del vino attraverso l’idrolisi dei precursori d’aroma glicosilati, contribuendo all’espressione del potenziale aromatico varietale.

domenica 13 febbraio 2011

da consumarsi preferibilmente entro....


















Il decr.to leg.vo 109/92 (testo base sull'etichettatura dei prodotti alimentari) dedica all'argomento due articoli distinti: 

Art. 10 - Termine minimo di conservazione (TMC)
"1. Il termine minimo di conservazione è la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione; esso va indicato con la dicitura "da consumarsi preferibilmente entro" quando la data contiene l'indicazione del giorno o con la dicitura "da consumarsi preferibilmente entro la fine" negli altri casi, seguita dalla data oppure dalla indicazione del punto della confezione in cui essa figura....".
 
Art. 10 bis - Data di scadenza
"1. Sui prodotti preconfezionati rapidamente deperibili dal punto di vista microbiologico e che possono costituire, dopo breve tempo, un pericolo per la salute umana, il termine minimo di conservazione è sostituito dalla data di scadenza; essa deve essere preceduta dalla dicitura "da consumarsi entro" seguita dalla data stessa o dalla menzione del punto della confezione in cui figura."
 
Come si evince, quindi, esistono due categorie di prodotti: quelli "rapidamente deperibili" (per i quali è corretto impiegare il termine "scaduto") e gli altri. Questi ultimi non possono "scadere" in quanto il TMC non costituisce un "limite perentorio", ma unicamente "la data entro la quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà (organolettiche e nutrizionali) in adeguate condizioni di conservazione". 

Infatti, mentre la legge proibisce in modo esplicito  "la vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione", nulla dice in merito agli altri.
E' per questo motivo che parlare in modo generico di prodotti scaduti non fa altro che alimentare confusione e paure infondate nel consumatore.
Ma perchè si indica il termine minimo di conservazione (TMC)?
Una delle domande che il produttore si pone, nel momento in cui decide di porre in commercio un determinato alimento, è la seguente: "Qual'è  la sua shelf-life? (che in italiano può essere tradotta come “vita commerciale”, “vita di scaffale” o “stabilità durante la conservazione)"
La vita di un alimento, infatti, è legata a svariati fattori (composizione, tipologia dei materiali di confezionamento, ecc.), tutti gestiti dal fabbricante il quale, dopo opportune verifiche, stabilisce, appunto il TMC, in pratica comunicando una data al consumatore entro cui ritiene che il suo prodotto possa amere la migliore qualità possibile.

E poi? Cosa succede al prodotto a partire dal giorno successivo? Qualcuno può ragionevolmente immaginare che, nel giro di 24 ore si possa passare dall'ottimo al pessimo? Certo no.
In realtà, il prodotto comincerà a modificarsi, perdendo via via le sua caratteristiche peculiari (a seconda dei casi: croccantezza, friabilità, morbidezza, fragranza, sapore, profumo, colore, ecc.).
Solo dopo un certo tempo (funzione sia della tipologia del prodotto, sia della presenza di "cause esterne") il prodotto potrà divenire fonte di pericolo per la salute del consumatore.
Le cause esterne cui abbiamo accennato sono molteplici: tra queste troviamo, ad esempio,  le cattive condizioni di conservazione

Ecco la precisazione tratto da una sentenza della Cassazione:
"...il termine minimo di conservazione è la data fino alla quale il prodotto conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Di conseguenza, poiché la perdita delle proprietà specifiche (fragranza, morbidezza, consistenza, odore, sapore, sapidità, retrogusto, ecc....) si risolve nel semplice impoverimento delle caratteristiche che rendono il prodotto appetibile e particolarmente gradito al consumatore, ma non significa degenerazione del prodotto stesso nei sensi richiesti dalla legge n. 283 per la configurabilità delle contravvenzioni di cui alle lettere "a-c-d-" dell'art. 5, se ne deve inferire che il superamento di detta data, non incidendo sull'igiene e sulla commestibilità dell'alimento, resta di per sé indifferente per il diritto penale e non autorizza l'equiparazione di cui si tratta. Naturalmente nulla toglie che non solo dopo (in rapporto al tempo trascorso) ma anche prima di detta data, per inadeguatezza delle condizioni di conservazione o per altra causa, l'alimento possa aver subito alterazioni o degradazioni; si tratta però di eventi che, per aver rilevanza penale, devono essere dimostrati in concreto con i normali mezzi di prova: prime - fra tutti - le analisi chimiche e microbiologiche.".
 
Quindi: 

  1. prodotti caratterizzati dalla menzione "da consumarsi entro il...": a partire dal giorno successivo a quello indicato, possono essere correttamente definiti "scaduti" e la loro vendita è proibita
  2. prodotti caratterizzati dalle menzioni "da consumarsi preferibilmente entro..." o "da consumarsi preferibilmente entro la fine...": il semplice superamento della data indicata non costituisce, di per sé, indice di reato né presenza di prodotto non commestibile o addirittura pericoloso: la situazione deve essere valutata caso per caso (e, comunque, non è corretto parlare di prodotto scaduto!).

sabato 12 febbraio 2011

Storia del vino 2: il Müller Thurgau

Il müller thurgau è un vitigno a bacca bianca di cui è nota l’esatta data di nascita, il 1882. 
Herman Müller, un professore della stazione enologica di Geisenheim in Germania, nativo di Thurgau in Svizzera, creò un nuovo vitigno per mezzo dell’impollinazione floreale.
chasselas
riesling
Egli incrociò un vitigno “padre”, il riesling , con il fiore di un vitigno “madre”, il sylvaner. E' stato dimostrato però, tramite moderni ed accurati studi del  suo patrimonio genetico, che il secondo vitigno non era il sylvaner ma lo chasselas, coltivato anche  in Italia e conosciuto come Marzemina bianca. 

riesling x chasselas = müller thurgau





Il müller thurgau è diffuso in tutto il mondo ma il Trentino è diventato subito e resta ancora oggi la terra d’elezione di questa uva dai grappoli verde-oro. Il vitigno ha trovato l’accoglienza ideale nella Valle di Cembra,  che offre zone con un’ottima insolazione ma in un clima piuttosto fresco. Questa regione, come dicono i suoi abitanti, è ricca grazie ad un oro bianco, che è appunto il müller thurgau, e ad un oro rosso, che è il porfido. Proprio questo minerale dona mineralità e sapidità alle uve e quindi al vino. Questo presenta sfumature diverse sia ad un primo esame visivo che ai successivi esami gusto - olfattivi. Il colore può andare da un paglierino intenso con riflessi verdognoli ad un paglierino brillante con riflessi dorati e luminosi. I rofumi spaziano da note di erbe, salvia e fiori freschi a sentori di pesca, ananas, banana, agrumi e pure frutta secca. In bocca, con un gusto caratterizzato da una discreta sapidità e acidità, lascia una gradevole sensazione di freschezza e una buona persistenza dei sapori.

venerdì 11 febbraio 2011

Storia del vino: l'incrocio Manzoni.

Sembrerebbe una banale indicLuigi_manzoniazione stradale e invece è una tecnica con cui si è dato vita a nuovi vitigni nella prima metà del 900.
Luigi Manzoni (nella foto), dopo essersi laureato a Pisa in scienze agrarie,  nel 1912 diventò prima docente - ricercatore e infine preside della Scuola Enologica di Conegliano nel 1933. Durante gli anni in cui fu titolare della cattedra di Scienze e Patologia vegetale, mise in atto una serie di esperimenti sulla genetica della vite che portarono alla creazione dei famosi "Incroci Manzoni".
La linea guida degli esperimenti era principalmente di incrociare un vitigno autoctono della provincia di Treviso con una tipologia di vite internazionale. Gli esperimenti generarono numerosi incroci ma soprattutto due conquistarono fama grazie alle loro caratteristiche viticole ed enologiche:
  • Il Manzoni bianco 6.0.13: sicuramente questo è l'incrocio più famoso fra quelli messi a punto dal prof. Luigi Manzoni. Il Manzoni bianco nasce dall'incrocio tra il riesling renano e il pinot bianco. Questo si adatta facilmente  a climi e terreni molto diversi tra loro ed ha una produzione contenuta. Il grappolo è piccolo e mediamente compatto, formato da acini medi - piccoli di colore giallo tendente al verde con una buccia spessa. Il Manzoni bianco 6.0.13 è previsto in molte disciplinari di produzione come, ad esempio, quella della DOC Bianco dei Colli di Conegliano. Quando viene vinificato in purezza dà vita a vini con un buon corpo, con profumi fini e delicati e leggermente aromatici con sentori di mela, albicocca e ananas. Inoltre, hanno generalmente un colore paglierino intenso e nel complesso sono molto equilibrati. I vini prodotti con uve di Manzoni bianco sono ottimi serviti freschi come aperitivo, ma possono anche essere abbinati a piatti a base di pesce e verdure.
  • il Manzoni rosso 2.15: questo incrocio è conosciuto anche con il nome Manzoni nero ed è stato prodotto incrociando prosecco e cabernet sauvignon. Il vitigno si caratterizza per una vigoria vegetativa elevata e per una maturazione tardiva delle uve che produce. Le foglie sono tendenzialmente grandi, mentre il grappolo è medio, generalmente alato e cilindrico -piramidale. L'uva di questo vitigno rientra nelle disciplinari di produzioni della DOC Colli Euganei, della DOC Colli di Conegliano e in altre ancora. Il vino prodotto in purezza è di colore rosso violaceo intenso, caratterizzato da una alcolicità elevata, lievemente tannico e ricco di profumi fruttati.

Oltre a questi due vitigni creati dal professore della scuola di Conegliano che sono sicuramente i più noti, ricordiamo anche il Manzoni rosa 1.50, nato dall'incrocio di trebbiano e traminer, e  il Manzoni moscato 13.0.25, nato dall'incrocio di raboso Piave e moscato Amburgo.

giovedì 10 febbraio 2011

La reazione di Maillard


 La reazione di Maillard è forse la più importante reazione chimica della cucina. Dal pane alla torta, dalla bistecca alle patatine fritte passando per il caffé tostato, la reazione di Maillard è quella che attribuisce ai cibi il tipico aspetto bruno e il gusto di cibo cotto. Si tratta quindi di un effetto desiderabile. L'unica cautela è non esagerare, per non rischiare di bruciare la portata.


Alcuni esempi di reazione di Maillard
  • La crosta del pane e della crostata
  • La doratura nei soffritti e nei fritti (cipolla, patatine, cotoletta, etc.)
  • La crosticina della bistecca (il segreto per un'ottima bistecca è favorire una buona reazione di Maillard e insieme salvaguardare il contenuto di liquidi del taglio di carne)
Che cos'è la reazione di Maillard?

La reazione di Maillard avviene durante l'interazione nella fase di cottura di carboidrati e proteine ed è significativa solo a temperature superiori a 140 gradi. I composti formano degli aggregati odorosi tipici, molto apprezzati e attraenti per il palato.
La reazione di Maillard in realtà non è una sola, ma è costituita da una serie di fenomeni che si innescano in tre fasi: la prima non presenta effetti visibili, mentre causa la degradazione di certi amminoacidi essenziali come la lisina. La seconda è responsabile della formazione dei composti odorosi tipici del cibo cotto; la terza vede invece la nascita di grosse molecole che conferiscono il tipico colore bruno al cibo. Il "gusto di carne", per esempio, che può essere estratto e usato in brodi o altri alimenti, è essenzialmente il gusto dei composti di Maillard.
La reazione di Maillard da origine a numerosissimi composti diversi, non tutti identificati e la cui chimica è ancora in parte da svelare. Tuttavia è noto che queste reazioni sono favorite da un ambiente leggermente basico e dalla presenza di metallo. Infine, trattandosi di una reazione tra carboidrati e proteine, è evidente che si otterrà una buona reazione di Maillard se questi sono presenti in grandi quantità.

Consigli per favorire la reazione di Maillard

Per una buona reazione di Maillard la temperatura dovrebbe restare tra i 140 e i 180 gradi, mentre la superficie di contatto con l'alimento dovrebbe essere in metallo.
Alcuni alimenti come le carni bianche possono essere poveri degli zuccheri necessari. In questo caso si possono aggiungere vino, limone o arancia, oppure fare una leggera glassatura col miele. Il comune zucchero da cucina invece, il saccarosio, così com'è non va bene. Perché favorisca la reazione di Maillard è necessario che sia scomposto nei suoi componenti principali, glucosio e fruttosio, ciò che si può ottenere combinandolo con vino o altre sostanze acide come il limone. Per questa ragione la marinata è un ottimo accorgimento per favorire la reazione di Maillard.
L'aggiunta di sostanze basiche come il bicarbonato da cucina, infine, costituisce un forte acceleratore delle reazioni di Maillar (guarda il video, a sinistra viene aggiunto bicarbonato di sodio )

lunedì 7 febbraio 2011

Modifiche alla normativa sugli additivi alimentari - Direttiva 2010/69/UE del 22 ottobre 2010

La Direttiva 2010/69/UE del 22 ottobre 2010 recentemente emanata dalla commissione europea, apporta sostanziali modifiche agli allegati della precedente normativa in materia di additivi alimentari (direttiva europea 95/2/CE recepita con D.M. 209/96).
Chiaramente, la suddetta direttiva dovrà essere recepita a livello nazionale, ma nel frattempo è utile fare alcune riflessioni sulle modifiche apportate alla precedente normativa in vigore.
MODIFICHE RIGUARDANTI TALUNI STABILIZZANTI
Una prima modifica riguarda la ammissibilità di  taluni stabilizzanti ( agar, carragenine, farina di semi di carrube, gomma di guar, pectine, cellulosa, ecc.). Il comitato scientifico per l’alimentazione umana ha stabilito, per questi additivi, una dose giornaliera ammissibile “non specificata” perchè essi non risultano presentare rischi per la salute umana.
Vi è, anzi,  l’esigenza tecnologica di estendere l’impiego di tali additivi ai prodotti a base di latte non aromatizzati, ottenuti con fermenti vivi e ai loro succedanei con un tenore di grassi inferiore al 20 % per garantire la stabilità e l’integrità dell’emulsione.
MODIFICHE RIGUARDANTI SOSTANZE NATURALMENTE PRESENTI IN MOLTI ALIMENTI
Un’ altra modifica riguarda gli additivi: lattato di sodio (E 325),  lattato di potassio (E 326),  acetato di potassio (E 261),  acetato di sodio (E 262i) e idrogeno acetato di sodio (E 262ii). Poiché essi sono tutti presenti naturalmente come componenti degli alimenti, il comitato scientifico per l’alimentazione umana ha concluso che i quantitativi assunti con l’aggiunta sono probabilmente trascurabili rispetto a quelli assunti naturalmente.
Di conseguenza tali additivi alimentari saranno consentiti per l’uso in tutti gli alimenti ad eccezione di quelli indicati all’articolo 2, paragrafo 3 della direttiva 95/2/CE; inoltre, è stato proposto di estendere l’uso di questi additivi alimentari alle preparazioni preconfezionate di carne macinata fresca per controllare la crescita dei patogeni microbici, ad es. listeria o E. coli O157. In base alla giustificazione tecnologica e tenendo conto che questo uso non presenta alcun rischio per la sicurezza, è opportuno consentire l’uso supplementare di questi additivi alimentari nelle preparazioni preconfezionate di carne macinata fresca.
MODIFICHE RIGUARDANTI  I SORBATI E I BENZOATI
Altra modifica riguarda i sorbati (E 200, E 202, E 203) e i benzoati (E 210, E 211, E 212, E 213): un uso supplementare di questi additivi alimentari come conservante è stato proposto per i surrogati di prodotti ittici a base di alghe (surrogati di caviale a base di alghe), utilizzati come farcitura di vari alimenti, per impedire la crescita di muffe  e la formazione di micotossine.
Per queste sostanze è stata stabilita una dose giornaliera ammissibile di 25 mg/kg e di  5 mg/kg rispettivamente; anche nell’ ipotesi che vengano aggiunti ai suddetti prodotti alimentari nella dose massima stabilita, non ci sarebbero pericoli per la salute del consumatore.
 Inoltre, è stata presentata una richiesta relativa all’uso dei sorbati e dei benzoati per le birre in fusto alle quali è stato aggiunto oltre lo 0,5% di zuccheri fermentescibili e/o succhi o concentrati di frutta e che sono servite alla spina.
 Poiché il fusto non può essere collegato al rubinetto in condizioni sterili è possibile la contaminazione microbiologica del contenuto e ciò potrebbe causare l’ innesco di processi fermentativi anomali.
 Da un punto di vista dell’assunzione, il consumo alla spina di birre alla frutta è abbastanza marginale e l’ assunzione di sorbati e benzoati sarà sicuramente di gran lunga inferiore alle dosi giornaliere ammissibili.
Per impedire lo sviluppo di muffa sugli agrumi è autorizzato l’uso degli antiparassitari imazalil e tiabendazolo nel trattamento post raccolta. I sorbati (E 200, E 202, E 203) possono essere utilizzati per sostituire, in parte o completamente, questi antiparassitari nel trattamento degli agrumi.I sorbati possono essere applicati sulla superficie di agrumi freschi non sbucciati mediante le cere autorizzate: cera d’api, cera di candelilla, cera di carnauba e gommalacca (E 901, E 902, E 903 ed E 904 rispettivamente). L’esposizione del consumatore a questi additivi mediante l’uso proposto non desta preoccupazioni per la sicurezza.
AUTORIZZAZIONE ALL’ UTILIZZO DELL’ ESTRATTO DI ROSMARINO
Gli estratti di rosmarino vengono prodotti dal Rosmarinus officinalis L. e contengono diversi composti che hanno funzioni antiossidanti (principalmente acidi fenolici, flavonoidi, diterpenoidi e triterpeni). Sebbene i dati tossicologici sugli estratti di rosmarino fossero insufficienti per consentire all’EFSA di stabilire una dose massima giornaliera, essa ha ritenuto sufficientemente alto il margine di sicurezza per concludere che l’esposizione alimentare mediante gli usi e i livelli d’uso proposti non desta preoccupazioni per la sicurezza. Gli estratti di rosmarino possono quindi essere autorizzati nei casi in cui vi sia una giustificazione tecnologica per l’uso. È opportuno autorizzare gli usi proposti degli estratti di rosmarino come antiossidante e di attribuire il numero E 392 agli estratti di rosmarino.
ESTENSIONE DELL’ UTILIZZO DEI FOSFATI
Si ritiene sia opportuno consentire l’utilizzo dei fosfati nelle bevande arricchite con siero di latte (ad esempio: le bevande destinate agli sportivi) al fine di mantenere in sospensione le proteine aggiunte tramite il siero di latte
ALTRE MODIFICHE
Altre modifiche riguardano: sorbati e benzoati in miscele vitaminiche; solfiti nella frutta fresca; nisina nelle uova liquide; dimetildicarbonato in alcune bevande a ridotto tenore di alcol; cera d’api nei wafer preconfezionati contenenti gelato; citrato di trietile ed alcol polivinilico (E 1203) nelle compresse di integratori alimentari; gomma cassia (E 427) come addensante e gelificante; L-cisteina nei biscotti per lattanti e per la prima infanzia.
FONTE: www.newsfood.com