Dott. Antonello Alessio
Ordine dei Tecnologi Alimentari di Calabria e Basilicata
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lunedì 14 febbraio 2011

Luigi Moio - L’aroma varietale del vino e l’influenza di variabili tecnologiche sulle caratteristche sensoriali dei bianchi campani

Relazione del Prof. Luigi Moio,Ordinario di Enologia alla Facoltà di Agraria a Portici, al convegno organizzato da Assoenologi ad Avellino inerente gli aspetti tecnico-specialistici per il miglioramento di vini Bianchi e Spumanti.



L’AROMA DEL VINO
L’insieme delle caratteristiche odorose e aromatiche del vino rappresenta senza dubbio l’aspetto sensoriale di maggiore rilevanza tra quelli riconducibili alla tipicità varietale di vini ottenuti da varietà di uva differenti.
I composti volatili responsabili delle caratteristiche aromatiche del vino sono numerosi e di diversa natura. Molti di essi, quelli quantitativamente più importanti, si originano nel corso della fermentazione alcolica e vengono pertanto generalmente definiti aromi di fermentazione. Tuttavia, le caratteristiche aromatiche dei vini e la loro specificità sensoriale sono spesso fortemente dipendenti da componenti volatili di altra origine, talvolta meno importanti da un punto di vista quantitativo ma, comunque, in grado di contribuire in maniera determinante all’aroma del prodotto finito (Etievant, 1991).
Molte di tali sostanze odorose derivano dall’uva e sono generalmente presenti nel vino in concentrazioni molto basse. Tuttavia, possono influenzarne in maniera considerevole le caratteristiche olfattive. Esse costituiscono la componente aromatica del vino che viene più direttamente influenzata dalla varietà di uva impiegata per la vinificazione e vengono quindi generalmente definite «varietali». Tra queste sono presenti alcuni composti di notevole interesse enologico, quali terpeni, norisoprenoidi, pirazine e composti solforati, notoriamente in grado di influenzare in maniera determinante le caratteristiche aromatiche del vino. Un’interessante caratteristica di alcuni composti volatili derivanti dall’uva, in particolare terpeni, norisoprenoidi e composti solforati, è che essi sono presenti in larga parte sotto forma di precursori non odorosi e vengono rilasciati nel corso della vinificazione e/o dell’invecchiamento del vino, con conseguente aumento della complessità aromatica (Williams, 1993).
Nel corso dell’invecchiamento, a causa del basso pH, gli esteri di fermentazione si degradano con notevole velocità, sicché il loro contributo sensoriale diventa per lo più trascurabile. Parallelamente, i composti varietali presenti sotto forma di precursori, in particolare terpeni e norisoprenoidi, vengono gradualmente rilasciati e possono quindi contribuire al profilo aromatico di insieme, determinando un aumento della complessità e della specificità aromatiche (Etievant, 1991).
Con il progredire dell’invecchiamento, quindi, il carattere aromatico del vino si modifica passando a un aroma di natura principalmente fermentativa a uno più complesso, fortemente influenzato da componenti aromatiche varietali tipiche dell’uva di origine.

Aromi dell’uva
In questa categoria ritroviamo composti quali aldeidi ed alcoli a sei atomi di carbonio (C6), terpeni, C13-norisoprenoidi e pirazine.
Nell’uva sono stati identificati diverse aldeidi e alcoli C6 (esanale, Z 3-esenale, E 2-esenale, 1-esanolo, Z e E 3-esen-1-olo, E 2-esenolo, 2,4-esadien-1-olo) dotati di bassa soglia olfattiva. In particolare il mosto fresco è ricco di aldeidi, responsabili di note odorose che ricordano l’erba sfalciata e la frutta acerba (Drawert, 1966; Hardy, 1970)
Questi odori diminuiscono con l’aumentare della maturazione dell’uva, tuttavia possono essere rilasciati nel mosto durante l’ammostatura a causa di un’azione meccanica violenta sul grappolo.
I terpeni sono i principali responsabili dell’aroma floreale del vino, essi sono particolarmente coinvolti nell’aroma dei vini Moscato, Malvasia e Gewurztraminer, del Tokay e dei vini Moscato invecchiati. I terpeni sono anche i principali responsabili del carattere floreale comune a molti vini bianchi giovani ottenuti da varietà neutre. Le molecole di natura terpenica sono presenti in quantità rilevanti anche in molti vini rossi tuttavia sembrano però svolgere un ruolo sensoriale meno significativo. All’interno di questa vasta classe di componenti volatili, gli alcoli monoterpenici sono quelli aventi il maggior impatto sensoriale. In particolare, linalolo e geraniolo sono caratterizzati da soglie di percezione notevolmente basse.
La loro concentrazione nel vino viene generalmente impiegata per caratterizzare le differenti varietà di uva. Circa il 50 % dei monoterpeni totali si ritrova nella buccia dell’uva (Park et al., 1991), tuttavia il geraniolo è associato principalmente alla buccia dell’acino d’uva mentre il linalolo è distribuito uniformemente anche nella polpa dell’acino (Wilson et al., 1986). Generalmente il contenuto in terpeni nell’uva aumenta nel corso della maturazione dell’acino fino al momento della completa maturazione per poi diminuire (Wilson et al., 1984; Gunata et al., 1985). Durante la surmaturazione dell’uva e durante l’invecchiamento del vino i terpeni subiscono diverse trasformazioni chimiche che determinano la loro diminuzione.
Per esempio la ciclizzazione del nerolo e del linalolo, l’ossidazione dovuta all’attacco dell’ossigeno singoletto e dall’attività ossidativa degli enzimi della Botrytis cinerea, determina un aumento dell’alfa-terpineolo e degli ossidi terpenici in forma furanica e piranica (Rapp e Marais, 1993).
I C13-norisoprenoidi sono dei componenti volatili raggruppabili in due categorie: strutture megastigmane e non megastigmane a 13 atomi di carbonio, prodotti dalla degradazione dei carotenoidi dell’uva come Beta-carotene, luteina, neoxantina e violaxantina. Essi presentano proprietà sensoriali di particolare interesse e sono caratterizzati da soglie di percezioni estremamente basse. I C13-norisoprenoidi svolgono un ruolo fondamentale nell’aroma varietale di alcuni vini bianchi quali Chardonnay e Riesling, e di vini rossi Merlot, Cabernet Sauvignon e Shiraz, oltre ad essere presenti in quantità sensorialmente influenti in vini di differenti varietà.
I principali composti appartenenti a questa classe chimica sono alfa e beta-ionone (soglia di percezione 2,6 e 0,09 ppb), beta-damascenone (soglia di percezione 0,05 ppb), vitispirane and 1,1,6-trimetil-1,2-diidronaftalene (TDN) (soglia di percezione 20 ppb) (Simpson 1978; Ferreira et al.).
Questi ultimi due composti, assenti nei vini giovani, si formano nel corso dell’invecchiamento per idrolisi acido-catalizzate, si ritrovano, pertanto, ad elevate concentrazioni nella frazione volatile di vini invecchiati (Rapp e Marais, 1993).
Il livello di TDN e vitispirano sembra non essere determinante per l’aroma dei vini non invecchiati (Marais et al., 1992). Il TDN ed il vitispirane, responsabili rispettivamente dell’odore di cherosene (Simpson, 1979) e canfora e/o eucaliptolo (Rapp e Mandery, 1986), sono presenti in vino ad una concentrazione compresa tra 1 e 390 ppb il primo e tra 20 e 320 ppb il secondo (Etievant, 1991). Essi sono tipici del vino Riesling invecchiato e dei vini bianchi ad invecchiamento ossidativo.
Tra i norisoprenoidi, il beta-damascenone ricopre un ruolo importante nella definizione dell’aroma del vino sia bianco che rosso. Esso presenta un odore complesso che ricorda fiori esotici (orchidea, bouganvillae, passiflora, ecc.), mele cotte e tè e benché sia spesso presente in concentrazione molto basse, può esercitare un ruolo importante nell’aroma di un vino, poiché è caratterizzato da una soglia di percezione estremamente bassa (0,05 ppb; Guth, 1997b). La sua concentrazione nel vino varia notevolmente, nel Merlot sono stati riscontrati livelli compresi tra 0,2 e 1,3 mg/L (Kotseridis et al., 1998a) mentre valori compresi tra 66 e 179 mg/L sono stati determinati nel vino Chardonnay (Simpson e Millar, 1984) e 980 mg/L nel vino Scheurebe (Guth, 1997b). La sua concentrazione è stata determinata anche in alcune varietà autoctone Italiane: nel Primitivo è presente a concentrazioni comprese tra 50 e 180 mgg/L, nell’Aglianico, Uva di Troia, Carigliano e Negroamaro tra 10 e 30 g/L, nel Fiano, Falanghina, Greco e Trebbiano tra 14 e 30 g/L (Moio et al., 2002a; Moio et al., 2004; Genovese et al., 2005; Moio et al., 2005).
Le pirazine, spesso presenti come metossi-pirazine, sono dei composti di natura aromatica la cui molecola è costituita da un nucleo di sei atomi contenenti due atomi di azoto (N) in posizione para e quattro di carbonio, uno dei quali è legato ad un gruppo metossilico ed un altro ad un radicale alchilico, la cui natura determina in gran parte le percezioni olfattive di questi composti.
La 2-metossi-3-isobutilpirazina è stata identificata per la prima volta in uno studio sui componenti volatili del peperone (Buttery et al., 1968) e successivamente insieme alla 2-metossi-3-isopropilpirazina nell’olio di resina e nei baccelli verdi (Bramwell et al., 1969; Murray et al., 1970). Le pirazine sono state identificate per la prima volta nell’uva da Bayonove et al. (1975) in uno studio sulla frazione volatile delle uve Cabernet Sauvignon, sinora sono riportate in diverse altre varietà a frutto bianco e colorato, tra cui Cabernet Franc, Merlot, Pinot Noir, Sauvignon Blanc, Chardonnay, Riesling. Nel vino questi composti costituiscono un ristretto gruppo di odoranti estremamente potenti in quanto sono dotati di una soglia di percezione estremamente bassa (10 ng/L in vino, Kotseridis et al., 1998b). La isobutilpirazina è responsabile dell’odore di peperone verde mentre la 2-metossi-3-isopropilpirazina di un odore gradevole e alcolico.
La concentrazione in metossipirazine risulta essere elevata nell’uva immatura mentre si riduce durante la maturazione (Lacey et al., 1991; Katumi e Samuta, 1999).
Infine nell’uva sono presenti differenti composti chimici che, sebbene non volatili ed inattivi sensorialmente, possono liberare durante l’invecchiamento del vino diversi componenti odorosi che vanno ad amplificare la complessità aromatica del vino (Williams et al., 1982 e 1983; Gunata et al., 1985). Queste molecole non volatili, potenzialmente odorose costituiscono quindi, dei veri e propri “serbatoi di aroma”. Generalmente possiamo distinguere precursori d’aroma di natura glicosidica e non glicosidica. I precursori glicosidici sono costituiti da una molecola volatile potenzialmente odorosa (aglicone) legata ad uno zucchero (principalmente glucosio) attraverso un legame glicosidico, che a sua volta si può legare ad una molecola di un altro zucchero aposio, arabinosio o ramnosio (Gunata et al., 1985; Voirin et al., 1990) (Figura 5).
Tutti i composti volatili varietali appartenenti alla classe dei terpeni e dei norisoprenoidi finora identificati nel vino sono presenti in forma glicosidica nell’uva di origine.
Altri componenti volatili come gli alcoli alifatici (1-esanolo, E 2-esenolo, cis 3-esenolo, 3-metil-1-butanolo), alcoli ciclici (alcol benzilico, 2-feniletanolo), fenoli volatili (vinilfenoli, vanillina, acetovanillone, benzaldeide) ed acido benzoico sono stati identificati in forma di precursori glicosidici (Williams et al., 1982; Gunata et al., 1985; Winterhalter et al., 1990; Sefton et al., 1993; 1994; Sefton, 1998). Tuttavia il contributo della componente glicosilata di tali composti volatili nel vino è minima in quanto alcuni di essi vengono sintetizzati in elevata quantità dai lieviti nel corso della fermentazione alcolica, è il caso del 2-feniletanolo, degli alcoli a sei atomi di carbonio e del vinifenolo; oppure rilasciati dal legno durante l’affinamento del vino in botte, è il caso della vanillina e acetovanillone.
Gli acidi ferulici e p-cumarico sono, invece, due precursori d’aroma di natura non glicosidica. Da essi, durante la fermentazione alcolica, nonché a seguito dell’attacco di microrganismi appartenenti alla specie Brettanoyices, possono formarsi composti volatili ad elevata attività odorosa appartenenti alla classe chimica dei fenoli (Chatonnet et al., 1992).

Aromi di fermentazione

Durante la fermentazione alcolica, i lieviti non solo sono responsabili della trasformazione degli zuccheri in etanolo ed anidride carbonica, ma producono numerosi componenti volatili minori, ma importanti dal punto di vista sensoriale, che incidono fortemente sulle proprietà organolettiche del vino. Allo stesso modo, durante la fermentazione malolattica, i batteri non provvedono soltanto alla disacidificazione del vino, quando è richiesta, ma contribuiscono ad aumentare la complessità
In questa categoria ritroviamo composti quali alcoli superiori, acidi volatili, esteri, composti carbonilici, fenoli volatili e composti solforati
Gli alcoli superiori sono classificati in alifatici ed aromatici. Gli alcoli alifatici comprendono 1-propanolo, 2-metil-1-propanolo (isobutanolo), 2 e 3-metil-1-butanolo (alcoli isoamilici). Gli alcoli aromatici consistono nel 2-feniletanolo e tirosolo. Generalmente il livello di alcoli superiori è correlato negativamente alla qualità del vino, vari autori riportano che livelli di concentrazione superiori ai 300-400 ppm nel vino ne potrebbero diminuire drasticamente la qualità (Amerine e Roessler, 1976; Ribéreau-Gayon, 1978; Bidan, 1975) apportando un odore ed un gusto pungente e/o vinoso, tuttavia livelli di concentrazione <300 ppm possono contribuire anche in maniera positiva all’aroma del vino con note fruttate (Nykanen et al., 1977; Lambrechts e Pretorius 2000; Swiegers e Pretorius 2005).
L’isobutanolo, gli alcoli isoamilici, il tirosolo ed il 2-fenietanolo si originano, nella cellula del lievito mediante la via di Ehrlich, attraverso una deaminazione seguita da una decarbossilazione e successiva riduzione degli aminoacidi valina, leucina, isoleucina, tirosina e fenilalanina.
In presenza di sostanze azotate facilmente assimilabili (sali d’ammonio, acido aspartico, acido glutammico) o di un giusto equilibrio tra aminoacidi, la produzione di alcoli superiori non è favorita, tuttavia, in particolari condizioni, quali elevata torbidità del mosto, elevata temperatura del mosto, aerazione del mosto e come principale sorgente di azoto una fonte amminoacidica, è favorita la formazione di alcoli superiori (Flanzy, 1998).
Dal punto di vista sensoriale gli alcoli isoamilici ed il 2-metil-1-propanolo hanno un odore sgradevole definito alcolico e/o cimice schiacciata e/o formaggio, viceversa il 2-feniletanolo è caratterizzato da un gradevole odore di rosa è può, quindi, contribuire positivamente all’aroma del vino (Moio et al., 2002; Ferriera et al., 2002).
I lieviti possono formare acidi grassi a media catena mediante due diverse vie: i) ossidazione delle aldeidi; ii) idrolisi dell’Acil-S-CoA, proveniente dal metabolismo dei lipidi, con formazione di acido butanoico, esanoico, ottanoico ecc.
La presenza degli acidi grassi, anche se apportano note sgradevoli descritte come formaggio e/o rancido (Ferreira et al., 2002a), sono correlati positivamente alla qualità dei vini (Marais e Pool, 1980; Bertuccioli et al., 1983) in quanto vengono prodotti in quantità maggiori in vini di qualità simultaneamente agli esteri etili di cui è ben dimostrato che sono correlati agli acidi stessi. Infatti, per esterificazione tra alcool etilico e gli acidi carbossilici presenti sotto forma di Acil-S-CoA, si formano i principali esteri del vino (butanoato, esanoato, ottanoato, decanoato di etile) caratterizzati da un aroma genericamente definito come fruttato (Etievant, 1991).
Dall’esterificazione tra alcoli isoamilici (2+3-metil-1-butanolo) e l’acetil-CoA ha, invece, origine l’acetato di isoamile (2-3-metilbutil acetato) responsabile dell’odore di banana mentre tra l’etanolo e l’acetil-CoA ha origine l’acetato di etile.
La presenza nel vino di tali composti è auspicabile, in quanto conferiscono al vino odori di frutta fresca e di frutta esotica, ad eccezione dell’acetato di etile che quando supera la concentrazione di 100 mg/L in vino risulta avere un odore sgradevole (Ribéreau-Gayon, 1978).
Il livello di questi componenti odorosi nel vino è influenzato dalle modalità di conduzione della fermentazione alcolica. Il ceppo di lievito, la mancanza di amminoacidi, l’elevato livello di ioni ammonio o asparagina, le basse temperature di fermentazione, le strette condizioni di anaerobiosi durante la fermentazione ed il basso pH del mosto sono alcuni dei principali fattori che conducono ad una minore o maggiore produzione dei prodotti di fermentazione nel vino.
I fenoli volatili ed i derivati fenolici quali etilfenoli, vinilfenoli, eugenolo, isoeugenolo, metossieugenolo, guaiacolo, siringolo, cresolo, benzaldeide e vanillina sono altri componenti volatili che incidono sull’aroma del vino. Non tutti hanno influenza positiva sull’aroma del vino, in particolare il 4-etilfenolo ed il 4-etilguaiacolo nei vini rossi sono stati ritenuti responsabili degli “off-flavours” tipicamente descritti come fenolico ed animale (Dubois, 1983). Generalmente nei vini rossi la concentrazione degli etilfenoli è più elevata rispetto a quella dei vinilfenoli (4-vinilfenolo, 4-vinilguaiacolo) mentre questi ultimi sono presenti in concentrazioni più elevata nei vini bianchi a cui conferiscono note speziate.
Il 4-vinilguaiacolo e 4-vinilfenolo, presenti nel mosto in tracce, vengono prodotti principalmente dai lieviti durante la fermentazione (Baumes et al., 1988), attraverso una decarbossilazione rispettivamente degli acidi trans p-cumarico e trans ferulico (Dubois, 1983). In particolar modo i lieviti Brettanomyces sono noti per la loro abilità a formare i vinilfenoli nel vino (Chatonnet et al., 1995). In un secondo momento i vinilfenoli possono essere convertiti per riduzione in etilfenoli (Chatonnet et al., 1992). Oltre all’attività metabolica dei lieviti altri fattori come l’affinamento in legno del vino possono determinare un incremento dei fenoli volatili in particolare ciò è stato riscontrato per il 4-etilguaiacolo ed il 4-etilfenolo (Pollnitz et al., 2000b).
Generalmente i composti solforati, presenti nel vino a bassissime concentrazioni, sono responsabili di odori sgradevoli e sono dotati di soglie di percezione estremamente basse. In base alla loro struttura chimica è possibile distinguerli in cinque categorie: sulfidi, polisulfidi, composti eterociclici, tioesteri e tioli. Uno studio condotto sull’aroma varietale del vino Sauvignon Blanc e successivamente in altri vini ha permesso di identificare molti composti solforati appartenenti alla famiglia dei mercaptani (tioli e tioesteri): 4-mercapto-4-metilpentan-2-one, 3-mercaptoesanolo, 3-mercaptoesilacetato, 3-mercapto-3-metilbutanolo, 4-mercapto-4-metilpentanolo, 2-mercaptoetilacetato, 3-mercaptopropilacetato (Darriet et al., 1995; Tominaga et al., 1998a; Lopez et al., 2003) (Figura 8). Genericamente i composti solforati vengono associati a seri difetti di odore, questo non è il caso dei mercaptani che al contrario apportano note positive all’aroma de vino.
L’aroma del 4-mercapto-4-metilpentanolo e del 3-mercaptoesanolo ricordano la nota di limone, pompelmo e frutto della passione; mentre l’odore del 3-mercapto-3-metilbutanolo è simile a quello del porro cotto. Il 3-mercaptoesilacetato ricorda l’aroma del frutto della passione, del bosso e della ginestra. Il 2-mercaptoetilacetato e 3-mercaptopropilacetato possono, invece, partecipare alla formazione dell’aroma tostato e grigliato spesso percepibile nel vino (Mestres et al., 2000). La percezione sensoriale del 4-mercapto-4-metilpentan-2-one è correlata alla sua concentrazione, infatti, può variare da quella di ribes nero, a basse concentrazioni, a quella di pipì di gatto, ad alte concentrazioni (Pearce et al., 1967; Darriet et al., 1995; Guth, 1997a).
Altri studi di carattere sensoriale hanno consentito, invece, di evidenziare il loro fortissimo impatto sull’aroma del vino, segnalando soglie di percezione fino a 0,8 ng/L per il 4-mercapto-4-metilpentan-2-one (Bouchilloux et al.,1996). Il 4-mercapto-4-metilpentan-2-one è stato identificato nei vini Scheurebe, Sauvignon Blanc, Gewurztraminer, Riesling, Colombard, Petit Manseng, Semillon, Cabernet Sauvignon e Merlot (Aznar et al., 2001; Guth, 1997a; Tominaga et al., 1998a; Tominaga et al., 1998c; 2000a; Murat et al., 2001a) e la concentrazione riscontrata è compresa tra 0 e 30 ng/L (Darriet et al., 1995; Tominaga et al., 2000a; Mestres et al., 2000).
Anche se importanti nella definizione del carattere varietale di alcuni vini, questi composti solforati non sono mai stati ritrovati in mosto d’uva. Infatti il 4-mercapto-4-metilpentan-2-one è presente nell’uva in forma legata ad un precursore non volatile: 4-(4-metilpentan-2-one)-L-cisteina (Tominaga et al., 1995) per poi essere liberato nel corso della fermentazione alcolica mediante l’attività enzimatica di alcuni lieviti (Tominaga et al., 1998b; Murat et al., 2001b; Howell et al., 2004).
Il dimetil sulfide contribuisce, se a basse concentrazioni, all’aroma dei vini invecchiati con note odore di asparagi. Probabilmente la sua formazione avviene durante la maturazione del vino ad opera dei lieviti mediante la degradazione della S-metil-L-metionina ad omocisteina e dimetil sulfide. In generale tale formazione è comunque legata al metabolismo della cisteina e cistina o glutadione nei lieviti (Rauhut, 1993). Un altro meccanismo di formazione dei polisulfidi (dimetil sulfide, dimetil trisulfide e trimetil tetrasulfide) è l’ossidazione dei mercaptani, infatti dall’ossidazione del metil mercaptano ha origine per esempio il dimetil sulfide. I lieviti, invece, sono in grado di ridurre i sulfidi in mercaptani. La concentrazione dei polisulfidi che generalmente viene riscontrata in vino varia da 0,09 a 53 g/L (Ferreira et al., 2002a).
Anche l’etandiolo contribuisce all’aroma dei vini. Esso deriva dalla reazione che avviene tra l’idrogeno solforato e l’etanolo o l’acetaldeide (Rauhut, 1993).
Il furfuriltiolo è stato identificato nei vini rossi di Bordeaux, i bianchi Petite Manseng ed anche nel legno tostato (Tominaga et al., 2000b). Esso è dotato di una soglia di percezione bassissima di 0,4 ng/L (Tominaga et al., 2000b) e di un odore tostato che ricorda il caffè (Blanchard et al., 2001). La sua origine in vino è dovuta ad opera dei lieviti alla trasformazione del furfurale durante la fermentazione in botti di legno (Blanchard et al., 2001). Gli stessi autori evidenziarono anche che la produzione del furfuriltiolo è bloccata quando vi è aggiunta di azoto, come asparagina, in quanto la sua produzione è legata agli anioni HS- che non vengono prodotti quando si aggiunge solfato di ammonio durante la fermentazione.
Dal metabolismo della metionina (via di Ehrlich) ha origine il 3-metiltio-1-propanolo responsabile dell’odore di cavolfiore (Mestres et al., 2000), il quale a sua volta può originare, mediante esterificazione, il 3-metiltiopropil acetato dotato di un odore che ricorda i funghi o l’aglio. Dalla omocisteina e dala cisteina possono essere sintetizzati dai lieviti il 4-metiltio-1-butanolo e 2-mercaptoetanolo responsabili rispettivamente degli odori di aglio e pollame (Mestres et al., 2000).
Il 2,3-butandione (diacetile) è uno dei principali componenti aromatici dei prodotti lattiero caseari. Il diacetile contribuisce all’aroma del vino con un odore di burro se è presente in concentrazione non superiore ai 5-7 mg/L diversamente risulta essere indesiderato (Davis et al., 1985). I lieviti ed i batteri malolattici contribuiscono entrambi alla produzione del diacetile nel vino, tuttavia la concentrazione del diacetile prodotta dai lieviti durante la fermentazione alcolica è normalmente inferiore alla soglia di percezione (Martineau e Henick-Kling, 1995). Al contrario, i batteri malolattici producono grandi concentrazioni di diacetile durante la fermentazione malolattica, risultando uno dei principali componenti volatili prodotti da Oenococcus oeni. La formazione e la degradazione del diacetile è direttamente legata al metabolismo degli zuccheri, acido malico ed acido citrico dei batteri. Esso è prodotto come metabolita intermedio nella reazione di riduzione dell’acido piruvico a 2,3-butandiolo (Ramos e Santos, 1996).

Aromi derivanti dall’affinamento in legno
In questa categoria è possibile inserire gli aromi dovuti a l’impiego di particolari tecnologie. Per esempio, l’utilizzo di botti di rovere determina una aromatizzazione del vino con conseguente aumento della complessità aromatica. Le caratteristiche organolettiche del vino elaborato in barriques sono comunque influenzate da diversi fattori come la composizione del vino stesso, dall’origine botanica e geografica del legno di rovere impiegato per la fabbricazione delle barriques e dal tipo di stagionatura e tostatura alla quale il legno viene sottoposto prima della fabbricazione di questi contenitori.
Il ruolo aromatizzante delle barriques è stato particolarmente studiato per i vini provenienti dalle uve Cabernet-Sauvignon, Pinot noir e Aglianico (Dubois et al., 1971; Dubois, 1989; Chatonnet et al., 1990; Moio et al., 1999; Pérez Prieto et al., 2002). I componenti odorosi con elevata importanza olfattiva identificati nei vini affinati in legno di rovere sono la vanillina, dal tipico odore di vaniglia e cioccolato; il guaiacolo che ricorda note di affumicato; il 4-metil guaiacolo, il 4-vinil guaiacolo, l’eugenolo dal caratteristico odore di chiodi di garofano, gli isomeri cis e trans della 3-metil-gamma-lattone dall’odore di noce di cocco e il furfurale dall’odore di mandorla. I whisky lattoni (cis e trans della 3-metil-gamma-lattone) sono presenti naturalmente nel legno e la loro concentrazione aumenta per effetto della stagionatura e tostatura del legno (Sefton et al., 1993a). I fenoli volatili e le aldeidi fenoliche derivano, invece, dalla degradazione della lignina mentre il furfurale dalla termolisi della cellulosa ed emicellulosa insieme alla reazione di Maillard durante la fabbricazione delle barriques (Sefton et al., 1990; Hale et al., 1999).
In ogni modo, i vini invecchiati in barriques risultano essere meno dotati in note floreali e fruttate dei vini non invecchiati in legno, ciò è dovuto alla diminuzione dei componenti volatili di origine fermentativa durante il processo di invecchiamento in legno (Moio et al., 1995; Escalona et al., 2002).



TECNOLOGIA DI VINIFICAZIONE E QUALITÀ AROMATICA DEI VINI AUTOCTONI

L’ottenimento di vini con elevate caratteristiche di tipicità e complessità aromatiche è legato all’impiego di tecniche di vinificazione attraverso le quali sia possibile ottimizzare il contributo delle componenti aromatiche di fermentazione e varietale in funzione della tipologia di prodotto che si desidera ottenere.
In tal senso, tuttavia, l’avanzamento delle conoscenze scientifiche sui vitigni Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot nero, Grenache, Syrah, Chardonnay, Sauvignon, Semillon, oramai ampiamente diffusi in tutte le aree viticole del mondo, ha fortemente condizionato l’evoluzione della tecnologia enologica, per cui molti processi ottimizzati per tali varietà sono stati erroneamente ritenuti universalmente validi e spesso trasferiti integralmente ad altre varietà di uva, senza tener conto che la chimica dei componenti volatili, delle frazioni polifenolica, proteica e pectica, dei costituenti di natura glucidica e acidica, risultano per queste varietà «minori» del tutto sconosciute.
Tale processo di omologazione delle tecnologie di vinificazione, peraltro ormai ampiamente diffuso, risulta particolarmente penalizzante per Paesi come l’Italia, caratterizzati da un vastissimo patrimonio di cultivar autoctone le cui potenzialità enologiche vengono spesso sottovalutate a causa della carenza di conoscenze specifiche relative alle caratteristiche peculiari di ciascuna uva e di conseguenza al tipo di vinificazione che maggiormente si adatta all’espressione di tali potenzialità.
Nel corso degli ultimi anni sono state da noi condotte prove sperimentali di vinificazione volte all’individuazione di pratiche enologiche in grado di migliorare l’espressione delle caratteristiche aromatiche varietali e il potenziale di invecchiamento di vini bianchi e rossi ottenuti da cultivar autoctone dell’Italia meridionale (William, 1993).

Falanghina
Influenza del trattamento di chiarifica prefermentativa sulla frazione aromatica varietale del vino Falanghina (Moio et al., 2002b e 2004b).
 I trattamenti di enzimaggio e chiarifica (EC) e di enzimaggio, chiarifica e filtrazione (ECF) sono stati realizzati impiegando una miscela di chiarificanti (bentonite, caseina, gelatina, gel di silice). Le analisi condotte sui campioni di mosto hanno evidenziato una forte influenza del tipo di trattamento sul contenuto di precursori d’aroma, in particolare per i mosti ottenuti mediante l’impiego di chiarificanti.
Al termine della fermentazione alcolica i vini ottenuti mediante i trattamenti EC ed ECF sono risultati caratterizzati dalla minor concentrazione di terpeni presenti in forma odorosamente attiva. L’impiego di trattamenti spinti di chiarifica del mosto determina, dunque, una riduzione della concentrazione di importanti composti volatili varietali del vino, con una conseguente riduzione della complessità e della tipicità aromatiche. Allo stesso modo, la concentrazione di precursori d’aroma glicosidici dei vini è correlata negativamente all’intensità del trattamento di chiarifica e dunque trattamenti più spinti determinano una diminuzione del potenziale di invecchiamento del vino Falanghina.
Per la vinificazione ad «elevata protezione antiossidante» HAMP (Hight autioxidant must protection) è stata realizzata una protezione antiossidante del mosto, data dall’impiego di elevate dosi di SO2 e acido ascorbico. Inoltre, le fasi di diraspapigiatura e chiarifica sono state condotte in atmosfera di azoto.
L’impiego di un’elevata protezione antiossidante del mosto ha determinato un significativo aumento della concentrazione di esteri prodotti dai lieviti durante la fermentazione alcolica. Tali componenti sono direttamente correlati al carattere fruttato dei vini giovani, ed è dunque probabile che un loro incremento determini una maggiore intensità aromatica del vino.
Dopo 14 mesi, i vini ottenuti con tecnologia a «bassa protezione antiossidante» LAMP (Bow antioxidant must protection) hanno mostrato un contenuto di esteri pari a quello presente nei vini AMP all’inizio dell’invecchiamento. Inoltre, la tecnologia HAMP ha consentito di preservare con maggiore efficacia importanti composti varietali come il linalolo, rallentando la trasformazione di questo in α-terpineolo, dotato di un minor impatto sensoriale. La protezione antiossidante del mosto rappresenta, quindi, un’interessante opzione per l’incremento del contributo della componente aromatica di fermentazione al profilo aromatico di insieme del vino, nonché per un migliore controllo dell’evoluzione della componente aromatica varietale nel corso dell’invecchiamento.
Fiano
Effetto di una avanzata maturazione dell’uva sull’aroma del vino bianco (Genovese et al., 2006).
Il vino Fiano ottenuto da uva surmatura risulta dominato da note odorose di agrumi, albicocca secca, fichi secchi, prugna, floreale, miele e noce di cocco. Questo quadro aromatico risulta molto simile a quello di vini ottenuti con la stessa tecnologia ma con uve differenti. Questo risultato indica che con la degradazione della buccia, che si verifica durante l’appassimento dell’uva, nel caso delle uve non ricche in terpeni, indipendentemente dalla cultivar si possono produrre le stesse molecole odorose.
I risultati delle analisi strumentali hanno indicato che le principali molecole appartengono alle classi chimiche dei terpeni, C-13 norisoprenoidi, lattoni ed aldeidi. Questi componenti volatili, dunque, sono correlati positivamente al grado di maturazione delle uve fornendo un contributo determinante all’aumento della complessità aromatica del vino.

Oenococcus Oeni
Idrolisi di precursori d’aroma glicosilati nel corso della fermentazione malolattica (Ugliano et al., 2003; Ugliano e Moio, 2003). Il contributo della fermentazione malolattica (FML) all’espressione delle caratteristiche aromatiche varietali del vino è stato studiato in un sistema modello messo a punto in laboratorio, al fine di simulare in condizioni controllate il processo di FML. La capacità di quattro preparati commerciali di batteri lattici Oenococcus oeni (EQ 54, Lalvin O.S.U., Uvaferm Alpha e Lalvin 31) di idrolizzare precursori d’aroma glicosilati del vino è stata valutata in un sistema modello contenente precursori estratti da vino Moscato.
A pH 3,4 è stata osservata, per tutte le colture, una diminuzione della concentrazione di precursori, accompagnata da un proporzionale aumento dei relativi composti volatili.
Quando la fermentazione malolattica è stata condotta a pH 3,2, è stata osser vata una di-minuzione della capacità idrolitica per i preparati Uvaferm Alpha e Lalvin 31.
Le concentrazioni di composti volatili rilevate nei vini sintetici al termine della fermentazione malo-lattica suggeriscono che O. oeni è in grado di modificare le caratteristiche sensoriali del vino attraverso l’idrolisi dei precursori d’aroma glicosilati, contribuendo all’espressione del potenziale aromatico varietale.

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